Un modo di vedere il body building

Guardavo un servizio sul body building.
Guardavo gli sforzi sovrumani fatti dai sovrumani e dalle sovrumane, in perpetua lotta contro blocchi di metallo e complesse carrucole.

Guardavo le pose plastiche, rocciose, granitiche, dove la carne non si riconosceva più.
Pose innaturali per chi non sta combattendo.
Per chi non ha il mal di pancia.
Per chi non ha preso lo spigolo col mignolino.

Pose di sforzo estremo, in surreale contrasto con i sorrisi forzati indirizzati alla telecamera, ai giudici, agli spettatori.

Gli sforzi erano comunque reali, accompagnati da gemiti, versi e, nei casi migliori, da vere urla.
Urla che non sentivo, soffocate dalla musica di fondo e dal commento del cronista.
Urla il cui suono, il cui significato e la cui intenzione potevo solo immaginare.

Così l’immaginazione si muove.
Analizza i corpi possenti, ai quali deve corrispondere una voce possente.
Analizza i gesti lenti e oleosi, studiati per impressionare qualcuno invitandolo a dare una risposta.
Analizza i sorrisi vicini alle lacrime che esprimono il dubbio: “É abbastanza per te? Quanto durerà ancora?”

E inizio a disegnare.

La posa c’è, mi piace, sintetizza quanto ho percepito.
Scannerizzo il bozzetto, lo converto in negativo.
Marco le linee di forza, poi lo passo in vettoriale e allungo un po’ le gambe.

Individuo le masse muscolari, inverto ancora i colori.
Manca ancora un po’ di convinzione, così apro una bocca smisurata, caricaturale.

Buono, ma la testa è stranamente sbilanciata.
Faccio alcune elaborazioni, ma poi decido di inserirci il mio logo mascherandolo da coda di cavallo.
Ora ci siamo, manca solo il titolo.

Il titolo deve omaggiare la dedizione di questi atleti, la loro costanza e la passione per la ri-creazione anatomica.
Il titolo sorge spontaneo dalla forza muscolare, dai nervi tesi, dal gesto raccolto che prevede un’espansione, un’esplosione, un urlo primordiale.